Hanno scritto

In questa sezione ho cercato di raccogliere i numerosi articoli di giornale e le critiche che sono state tributate a Sergio, mio padre. Prima di offrivi la possibilità di sfogliarle vorrei tentare di introdurre anche io il mio pensiero sulla sua pittura.

Perchè gli abiti vuoti? Perchè le maschere, i palloncini e il filo spinato? Qual è il senso?
Ci ho riflettutto per moltissimi anni ed ancora adesso continuo ad interrogarmi su questa questione. Consapevole di avere un punto di vista privilegiato rispetto a chiunque abbia scritto sull'opera di mio padre. Sergio nasceva nel '35, in piena seconda guerra mondiale. Questo fatto deve avere segnato profondamente la sua identità e quindi il suo stile va letto in rapporto stretto con questo fatto. I palloncini e il filo spinato sono la chiave per l'interpretazione del suo stile. Sono chiari elementi simbolici che rappresentano le anime che volano il cielo con il gas e la prigionia dei campi di sterminio. Gli abiti vuoti sono il tentativo di rappresentare lo spirito che essendo invisibile ha bisogno di un apparato di contenimento che lo renda visibile senza renderlo palpabile come potrebbe essere se rappresentato come una nuvola. Il vestito invece permette proprio di evidenziare il movimento, l'animazione e dunque l'anima. Ma Sergio non si ferma qui, fa di più. Inserisce le maschere, maschere realistiche come facce. Che fanno subito pensare al tentativo di cambiare identità, trasformandosi in qualcun'altro. 
Ecco, secondo me l'idea di Tuis è proprio quella che gli spiriti dei morti ed in particolare quelli dei campi di concentramento (ma in realtà si occupa anche dei desaparecidos e la cosa non va letta per forza con una precisa valenza politica. Ci sono stati anche gli amerindiani, i campi comunisti, i Khmer rossi, ecc.) possano indossare quelle maschere, vestire quei panni odierni e ritornare a popolare il mondo. Perchè secondo la sua rappresentazione, i vivi stessi sono vuoti, morti, fatti di puro spirito e abbisognano delle anime degli scomparsi per affrontare la propria esistenza. Con l'andare del tempo sono arrivato proprio alla conclusione che papà credesse fermamente che tutto questo accada ogni giorno sotto i nostri occhi senza che ci facciamo caso ed il suo è come un invito affinche' ciò avvenga.

07/08/2019 - Dario Tuis.


Il Giorno (ed. nazionale) - 06/03/2019

Il Giorno (ed. locale) - 06/03/2019


Il Giornale di Seregno - 05/03/2019.


Il Cittadino di Monza e Brianza - 09/03/2019.


Il Giornale di Seregno - 12/03/2019.


Oggi alle 15.30 nella parrocchiale del Ceredo saranno celebrati i funerali di Sergio Tuis, spentosi domenica all’età di 83 anni. Anche se da diversi anni non abitava più in città, ha voluto che fosse Seregno a tributargli l’estremo congedo dal mondo. Questo gesto di affetto non può che essere ricambiato, con il briciolo di orgoglio per noi che per lunghi anni abbiamo avuto come concittadino questo importante fumettista, nonché apprezzato artista. 

Originario di San Donà di Piave, ha abitato in città dal 1970 al 2002. Come fumettista ha collaborato con le principali case editrici del settore, in particolar modo con Sergio Bonelli per Martin Mystère e Nick Raider. Come artista, vanta una quarantina di mostre personali ed ha conseguito importanti riconoscimenti. Con il fratello Aldo è stato protagonista della cultura e dell’arte a Seregno e non solo a Seregno.
Nell’esprimere cordoglio alla famiglia, come Amministrazione ci sentiamo impegnati a fare memoria del valore artistico della produzione di Sergio Tuis.
Alberto Rossi Sindaco di Seregno - 05/03/2019.


Sergio Tuis. Bisogna dire soltanto una parola: grazie.

Una persona notevole. Che molti, anche fra quelli che non sono qui presenti, conoscono magari solo per le opere che ci lascia. Principalmente fumetti e quadri. Un maestro dunque. Un padre. Ma anche un maestro di vita. Pregno di valori cristiani.
Egli non ha mai inseguito il successo ad ogni costo. Questo fu piuttosto una conseguenza del suo talento e soprattutto del suo enorme lavoro quotidiano. Guidato sempre dalla sua passione personale, intensa, per la cultura. Il motore di tutto fu proprio la passione, sua e di chi lo ha circondato. Mettendo sempre al primo posto nella sua vita il rispetto e la correttezza di cui non ha mai fatto a meno con nessuno. Avrebbe potuto ottenere di più ma per lui era di gran lunga più importante tenere sempre fede ai suoi principi morali e alla sua figura di padre prima che di artista. (lui diceva che “l'artista deve fare l'artista, non il mercante e la sua unica preoccupazione deve essere dipingere”).
Era malato da tempo. Anche se non voleva che gli amici lo sapessero e si dispiacessero. Non fu il cancro a portarlo via agli affetti. Papà se n'è andato perché troppo stanco. L'età, il lavoro duro e continuo, senza sosta. Questo ha finito per assorbirlo per intero, per fare fronte alle esigenze di noi tutti. L'arte e la vita in lui si confondono, in una sola incessante attività di ricerca continua. Giorno e notte. Anche nel normale discorrere quotidiano egli misurava sempre ogni parola e questo ha fatto di lui un uomo sostanzialmente mite. Fino alla fine, quando si è spento docilmente.
Perfino quando la sua mente divenne offuscata dalla tribolazione, egli rimase mite ma con maggiore spirito pungente non smise mai di indurmi a riflettere perfino sulle mie azioni. Tanto che ancora Sergio mi accompagna ed è presente nel cuore e nella mente per sempre.
Negli anni ha trasformato la sua casa in un tempio. Inserendo in ogni libro, in ogni fascicolo, in ogni rivista, della sua grande biblioteca - nella quale ha raccolto di tutto - ritagli di giornale, fogli di appunti, commenti, note di lettura. Era un lettore voracissimo. Per cui ora aprendo qualsiasi volume o cassetto è possibile ritrovare il suo inconfondibile spirito, nel caso per un momento divenisse distante.

Perfino subito dopo la morte abbiamo rinvenuto un foglietto con un aforisma del 1600 di Metastasio, scritto a mano da papà. Recita questo:
Non è ver che sia la morte il peggior di tutti i mali

è un sollievo pei mortali che son stanchi di soffrir.

Ed io aggiungo queste ulteriori parole: non dovete mai pensare che a tutto c'è rimedio, tranne che alla morte. Perché se essa non è il peggiore dei mali, significa che anche a questa deve esistere un rimedio.
Sergio ora dipinge tele giganti, insieme ai giganti, ed è felice.
Perché fa tutto quello che lo rende più felice. Ne sono sicuro.

Dario Tuis (discorso dopo la celebrazione delle esequie) 05/03/2019.


RASSEGNA STAMPA:

UN'IDENTITA' IMPROBABILE

"Heu, utres inflati deambulamus!", dice il personaggio di Petronio. E questi stessi otri rigonfi, vacui simulacri e non individui, trasparenze inconsistenti e non personaggi, sembrano condurre gli abiti di Sergio Tuis in giro per il mondo. A cavallo tra suggestioni delle inquietudini metafisiche e una lucida determinazione di gelido realismo, la pittura di Tuis si svolge all'insegna della ricerca, ricca di umori moralistici, ma anche di sottili ironie, di un'identità improbabile. Alla base, è la consapevolezza drammatica della dissociazione dell'individuo, della sua frantumazione in una raggera di relazioni che ne lacerano l'unità possibile, frantumandolo in ruoli incoerenti, in una non più unificabile ragnatela di "immagini di sè". Da questa consapevolezza, vagamente pirandelliana, scaturiscono immagini paradossali, storie senza storia perchè senza personaggi, che si riducono a una tragica elencazione, a una registrazione di situazioni da cui il soggetto è espulso come corpo inessenziale. Nella genesi di queste opere non una questione di aderenza sensu stricto ai corsi dell'arte, quanto piuttosto un atto di coscienza serio, severo, calibrato. In altri termini, la traduzione in immagini di un lucido rigore morale.


Flaminio Gualdoni

(D'Ars n. 92 - 1980)



Sergio Tuis con la serie delle sue notissime maschere emblematizza il reale che è dentro e fuori di noi, che è nel mondo del sensibile e in quello profondo della psiche, che è presenza testimoniale: non una denuncia di costume, non presa d'etica, ma represso dolore per non poter essere diversi, per mancare il divino e non per colpa nostra, per essere soli nel deserto della incomunicabilità a gridare.

Alerino Musiani

(Il Gazzettino di Venezia 4/8/1977)
 


Vita metafisica di Sergio Tuis
I singolari personaggi della pittura di Sergio Tuis vivono nel mondo terrestre una vita metafisica. E l'aggettivo "metafisica" va soprattutto inteso nella accezione data da Giorgio De Chirico per etichetta alla sua famosa corrente: qualità di un'esistenza artistica, inquietante e magica, spiritualmente al di fuori di ogni logica realistica.

Sono "personaggi invisibili" fantasmi in abito borghese: caratterizzati, tra l'altro, da un senso di malinconica ironia che nello svolgimento della allucinante invenzione (dentro spazi del quotidiano usuale, in un silenzio indefinibile) qua e la si affianca alla sensazione del dramma.

Sergio Tuis, di origine veneta, attualmente risiede a Seregno, ma svolge in provincia di Varese buona parte della sua attività di artista. Ha studiato pittura alla scuola superiore d'arte del Castello Sforzesco e alla libera scuola del nudo di Brera; ha operato lungamente nel settore grafico. Ha in ognuna di tali circostanze ha saputo accumulare insegnamenti ed esperienze che sin dal 1958 gli anno permesso affermazioni di rilievo, e che, di tempo in tempo, gli hanno grandemente agevolato la formazione di una ragguardevole personalità.

Il suo stile è quello dell'iperrealismo, con accentuata attenzione al "vero" nella descrizione della figura; la quale è immaginata come al centro di un ipotetico palcoscenico dell'esistenzialismo moderno, carica di assurde polivalenze.

I più importanti periodi narrativi sono grosso modo capitoli di un unico romanzo ambientato in luoghi affollati da individui in solitudine, senza volto, senza corpo ma fortemente suggestivi per la incredibile capacità di esprimersi con gli atteggiamenti.

Nella serie delle "Maschere" gli assunti del dramma e dell'ironia toccano eccezionali punte di creazione, concretizzate con singolare maestria estetica e tristi accenti di poesia.

Non è esatto includere Sergio Tuis nei pittori della moderna contestazione: in verità, alla sua "azione" mancano i presupposti delle arrabbiature sociali e quelli di aggancio alle angosce collettive, generate dalle contraddizioni della società industriale. Egli stesso, d'altronde ne ha dato atto nel corso della nostra breve intervista.

Ma tuttavia a nessuno può sfuggire che anche quest'arte sia principalmente rivolta alla denuncia (ora un poco divertita, ora molto preoccupata) dell'andare alla deriva di una umanità poeticamente pazza, nella ricerca di una propria nuova identità sul piano dei più frivoli valori del materialismo.

E' una ricerca oggi evidentemente del tutto consueta, quasi alla moda. Della quale Sergio Tuis dà soprattutto colorite situazioni paradossali, vagamente pirandelliane.

Andrea Nania

(La Prealpina 25/1/1982)
 
 


SERGIO TUIS

Sergio Tuis, del quale ormai da una settimana è in corso una esauriente personale al Centro Studi Muratori, è un pittore di origine trentina, ma brianzolo d'adozione e Milanese per formazione. Infatti vive e lavora a Seregno e, malgrado il suo cognome, è nella capitale lombarda che ha fatto i primi passi nello studio per poi crescere alla professione artistica nel famoso ambiente di Brera.

Di quella scuola, e di una lunga susseguente attività, ora abbandonata nel settore grafico, ci pare rechi un'impronta la 'veste' moderna della sua pittura, di un 'taglio' che comunque elude ogni accostamento agli "styling" cui è abitudine invalsa ricondurre la personalità di un artista. Non lo si può definire iper-realista, ne surrealista. Se pure esaminando i lineamenti della sua figurazione si è a tratti indotti a delle classificazioni, alla fine ci si rende conto che l'"abito" confezionato da Tuis ha un carattere suo proprio e riflette un gusto molto personale.

In una varietà di colori, accuratamente equilibrati nell'accostamento dei toni, finemente svolti nelle stesure, l'artista colloca con occhio sapiente, che tien conto dei pieni e dei vuoti, "personaggi ombra" nello spazio delle sue tele, abiti addosso a un corpo assente, svuotati eppure, all'apparenza, modellati e piegati in atteggiamenti statici o dinamici curiosamente così naturali da suggerire un'essenza individuale e, nel contesto della composizione, una fisionomia sociale.

A questo assurdo effetto realistico contribuisce non poco la sottigliezza e la provata capacità manuale con cui l'artista elabora in pittura la diversa consistenza della materia delle stoffe e di quant'altro entra nei suoi quadri.

Di questi mezzi non comuni Tuis si avvale in una operazione che quanto a contenuti, si rifà, in chiave contemporanea, all'antico concetto della "commedia della vita", a quel gioco ambiguo di sostanze ed apparenze in cui trascorre l'esperienza umana.

In perfetta coerenza con la sua 'cifra' figurale, lo spirito dell'ironia anima la sua rappresentazione, garbata e divertita, svincolata da remore moralistiche.

Così è, ad esempio, in "Pudore" dove un camicione castigatissimo davanti a uno specchio, vi riflette, per un lembo tutt'altro che pudicamente sollevato, un bel posteriore di donna descritto con gusto nei suoi suggestivi volumi. La stessa 'verve' si nota anche in "Tentazione" - una tonaca monacale sullo sfondo in ariosi calzoni, giacca e maglietta femminili; in "Taxi" - una figura di donna mondanamente ammantata in sosta vicino alla colonna di un semaforo che dà il verde; nel "Le tre grazie" - un gruppo di tre grembiuli bianchi, resi fantasticamente nella loro materia sottile e spiegazzata, di una quotidianità non certo poetica; e nel "Lo scroccone" che presenta due figure maschili, una, più elegante, portata a cavalcioni dell'altra ridicola e goffa.

Arrigo Bronabin

(Nuova Gazzetta di Modena, 19/11/1982)


 
Sergio Tuis
Il veneto Sergio Tuis sviluppa un tema unico al tempo stesso attuale e antico: la veste che copre il vuoto; il sopravvivere dell'abito alla vita vera che s'è consumata, dissolta; o, a volte, se n'è uscita e compare, precaria, in uno specchio, in una maschera. I quadri di Tuis ("Galleria S. Michele") si presentano come ritratti singoli o come foto di gruppo, ma ritratti o gruppi d'abiti vuoti, e d'abiti che, così vuoti, si fanno ripugnanti e angosciosi al tempo stesso; emblemi dell'apparire dietro o dentro al quale l'uomo si nasconde, cela, per vergogna, la sua natura, ma anche emblema del vuoto che si scava dentro di noi in più d'un appuntamento del vivere - e forse oggi si scava all'appuntamento decisivo di una civiltà.

La metafora di Tuis si ripete di quadro in quadro, variata ma sostanzialmente identica, e si trasforma perciò in modulo che alla lunga rischia di farsi anch'esso vuoto come uno dei suoi vestiti.
Elvira Cassa - Salvi

(Giornale di Brescia, 6/3/1983)



Arte: i fantasmi di Tuis
Spesso gli chiedono come mai alle sue figure manca il volto. "Beh - risponde Tuis con una battuta - è pur vero che siamo rimasti in pochi ad avere la testa!". Effettivamente di fronte ai dipinti di Sergio Tuis (di origine veneta ma da tempo a Milano), la prima impressione visiva, mancando del riscontro umano in quanto fisico, sconcerta e incuriosisce.

Così le figure, che non ci sono, appaiono solo come la traccia corporale dell'anonimato, in uno spazio esterno aperto, sospeso nel vuoto di valori luminosi limpidi e intensi.

Il lavoro, d'impostazione iper-realista, ha la struttura elementare dei fumetti "anni sessanta". Nella condizione di movimento ventilato di ogni indumento, c'è anche qualche elemento che ricorre con più retorica a ricordare la teatralità di ogni situazione. La maschera, infatti, sostituisce il volto ed è appesa con strategia coreografica in zone che mai hanno la pretesa di coprire qualsiasi identità; è asessuata e angelica.

Tra le immagini proposte in questo primo incontro cremonese con Tuis (a parte la dimensione; più efficace quella tendente a riportare la grandezza naturale) "il palloncino" ha la forza grafica di un racconto fantastico, condito con gli elementi giusti (la finestra, il filo, il cielo e il cappotto che si innalza); "Il povero cristo" è un'interpretazione drammatica di risolvere la quotidianità della sottomissione, dove l'abito giovane è legato alla croce con del filo spinato che esce dalle estremità dei jeans e del maglione; poi c'è "Il play boy" smontato, "Condizione donna", "Il pupazzo" e "Sotto le lenzuola" una specie di sindone opposta, di sonno o morte demistificati.

Sulla scena metafisica della vita, ancora una volta si propone lo spettacolo dell'identità dell'uomo: allo stesso tempo identificazione fisica, realtà soggettiva e introspezione morale. Dal "volto e la maschera" al "non volto e la maschera"; insieme al gioco uno spazio è riservato certamente alla riflessione.

(Sergio Tuis, Galleria Aquarius, via Mercatello 8 - Cremona, fino all'1 aprile).

Fausto Lazzari

(La Cultura, Cremona 28/3/1983)
 


UNA PERSONALE DI TUIS

Alla Galleria d'Arte San Rocco di Seregno (MI) fino al 7 giugno espone il pittore Sergio Tuis. Fino a qualche anno fa Tuis è stato un valente disegnatore di fumetti e prima di dedicarsi completamente alla pittura ha collaborato per anni con la nostra casa editrice. Tra i suoi lavori più importanti si ricorda la serie dei fumetti della realtà e il personaggio dell'Agente senza nome, pubblicati sul "Corriere dei Ragazzi".

Ferruccio De Bortoli

(Corrier BOY, 27/5/1977)
 


Salvator Dalì, genio e sregolatezza Maschere senza volto di Sergio Tuis

Fra tutte le avanguardie del primo Novecento, il surrealismo ha agito in profondità, ha scavato sotto la terra (la vecchia talpa...), ha raggiunto a distanza di decenni i suoi interlocutori: lo si è visto nelle giornate del Maggio parigino quando, sui muri della Sorbona, si leggeva che "la bellezza sarà convulsiva o non sarà", e si rivendicava l'immaginazione al potere.

Di uno dei padri storici del movimento, Salvator Dalì, è allestita una mostra di grandi lito (una decina delle quali colorate a mano) alla "Artestudio" in via Castel Maraldi 5. Datate fra il 1970 e il '75, le quindici opere comprendono la serie delle "Quattro stagioni" e quella dei "Segni zodiacali" Ma, fra tutte brilla di luce propria quella dedicata a Gala che, dal 1929 è moglie, musa e modella del maestro 78enne di Figueras. Una occasione, naturalmente, da non perdere.

In ambito neosurreale (o simbolico) si collega anche Sergio Tuis, veneto d'origine, lombardo d'adozione, la cui bella mostra è allestita al "Centro Muratori" in via Castel Maraldo 17: più di trenta oli il cui motivo costante è quello di non - presenza: abiti senza che alcuno li indossi, maschere di pirandelliana ambiguità.

Sostenuto da una tecnica raffinata e da un vivo senso della composizione e del colore, Tuis - scrive Anglisani - ci racconta la storia dei fantasmi che siamo. Interessante anche il procedimento di elaborazione: partenza da foto in bianco e nero (di qui la rosa minuziosamente realistica dei dettagli) che trasferisce coi colori sulla tela: non tele emulsionate, intendiamoci.

Ferruccio Veronesi

(il Resto del Carlino, Modena 9/11/1982)
 


CRONACA d'ARTE di Franco Cajani


I MANICHINI DI SERGIO TUIS ALLA RICERCA FORSENNATA DI UNA PROPRIA "IDENTITA'"

Leggendo l'intestazione ho pensato al cambiamento di gestione della Galleria San Rocco e che l'Associazione/Famiglia Artistica Seregnese fosse subentrata alla Galleria stessa.. Invece le cose sono rimaste come prima.

Questo è quanto si apprende all'invito della mostra del pittore Sergio Tuis, in occasione della sua personale negli spazi fisici della Galleria in via San Rocco 54 a Seregno, giusta la frase scritta a penna sull'invito dall'autore stesso "malgré tout"! E' vero, malgrado tutto il discorso caotico che la gestione attuale, sopravvissuta a quella nota nel campo galleristico di Luciano Silva, qualcosa di buono in questo biennio aggalla (si ricordino le mostre di Ceppi, Verga, Donadoni e dello stesso Sergio Tuis).

Nei tempi recenti la sua interpretazione appassionata s'è concentrata più sui risvolti umani e soprattutto sul subconscio intrinseco alle attività dello spirito. Su questo fertile terreno Sergio Tuis attraverso una pittura che rasenta il discorso iperrealistico, si incammina, nonostante le violazioni continue alla difesa degli umani principi e d'espressione personale denunciata che fanno innalzare i manichini di questo pittore, come una assillante istanza di abusi, di ordinamenti incoerenti, di leggi inique ed inadeguate. E questa di Tuis è un'occasione propizia per fare attraverso una impegnata pittura, che assume talvolta toni di celebrazione di monumentalità nell'ambito della figuralità (intesa cum grano salis) come fossero tappe necessarie nel cammino della vita, in cui l'uomo (giusto o no) inceppa o s'imbatte.

L'insofferenza nutrita di questa civiltà consumistica, il caos ecologico (si ricordi la strage del TCDD, anche se purtroppo è stata strumentalizzata persino a livello pittorico e questo artista involontariamente si è trovato anch'egli avvinghiato nelle trame di questa vicenda) la ricerca perenne di una identità vera e propria per realizzare i propri idilli e le proprie ambizioni (intese nel senso di Guicciardini senza essere vituperate, bensì spinta o sprone a fare qualcosa di positivo) sono le tematiche prime su cui poggia la pittura ideologica pittorica, vi sono, a mio avviso, due mentalità radicalmente diverse, due atteggiamenti di pensiero e di operare con altrettante visioni dell'esterno e quindi del mondo circostante, che non vogliono affatto superarsi e che pur essendo in antitesi si mostrano in ogni evenienza come costanti fondamentali della pittura di Tuis da cui non si può affatto prescindere. Manichini e maschere, volti e corpi senza identità, attendono così che la rivendicazione della forma latente prenda posto alle apparenze, come già e a suo tempo Metastasio in una celebre accezione anelava senza ovvietà. (Se a ciascun l'intero affanno / si leggesse in fronte scritto / quanti mai che invidia fanno / ci farebbero pietà).E questo anche per convalidare il rovescio della medaglia, dove appunto taluni pur avendo trovato la propria identità, pur conoscendo i parametri esistenziali ed i limiti della propria realizzazione, vagano volutamente in altre illusorie vernici di molti borghesi, masturbandosi con squillante perbenismo, dove solo il terrore attraversa i mas-media portando avanti così solo gli echi di una guerra sgangherata contro il terrorismo. E qui vale la pena di ricordare il bozzetto che Sergio Tuis ha pubblicato proprio su questi fogli a fine anno, cercando di evidenziare sobriamente attraverso un generico manichino, senza volto la realtà della vita. Il manichino intento ad abbandonare da una mano la pistola e impugnava dall'altra una rosa, come se l'anno che stava per passare avesse il potere di scacciare la violenza per abbracciare così la pace. Un augurio che poi non si è affatto avverato, inquanto i fatti romani hanno avallato ancor più che la teoria di Sergio Tuis, detiene il crisma universale, perchè tutta la nostra nazione è in cerca di una identità, come un suo manichino che raccoglie la maschera.

Franco Cajani

(Il Cittadino, 10/6/1978)




MORTE IN CORSA
Non avrei mai pensato che si potesse dar forma ai pensieri inconsci ed evanescenti sino al più reale presentimento evocando a distanza di otto anni la morte di un'altro campione Jochen Rindt! Il fastoso e dorato mondo delle corse aveva attratto anche gli artisti, tanto da sollecitare in apertura della prossima stagione 1978-79, una importante collettiva a tema, con circa una cinquantina di presenze di diverse tendenze proprio in questo senso. E ciò che è in programma per i prossimi giorni alla Galleria La Filanda (Verano B.za, via N. Sauro) con il patrocinio dell'Automobile Club di Milano, il quale metterà a disposizione negli spazi fisici della galleria alcuni bolidi che hanno partecipato a questa 49.ma edizione del Gran Premio d'Italia sulla pista dell'autodromo brianzolo.

Questa anticipazione viene appunto da noi stilata ricordando la scelta di un'opera presso lo studio di un giovane pittore seregnese, alla vigilia di questa corsa, di ritorno dalle prove a cui assistetti sabato 9 settembre dopo il vernissage del XXXIII M.I.A. alla Villa Reale di Monza.

Si tratta di un'opera di Sergio Tuis che in un certo senso ha presagito (bonariamente s'intende) senza osannare morte alcuna, questa ammucchiata di bolidi, che doveva avvenire nel caldo pomeriggio settembrino sulla pista monzese nel tratto delle strettissime chicanes che hanno il nome di un altro campione Ascari.

Certo Sergio Tuis con il suo tocco di surrealista ha ben delineato tutta la psicologia di questo mondo aulico ed ambito, immortalando sulla tela piloti in abito eloquente svuotati dalla loro personalità, divenuti per esigenze di copione robots raffinati comandati da cinici boss. La prova di questa ultima accezione la troviamo ancor più deludente nella conseguenza di questo Gran Premio d'Italia, che è partito ugualmente anche senza i suoi cavalieri disarcionati, così come otto anni fa lo fu per Rindt. Questi idolo delle F.1, lanciati sull'arena dell'asfalto a trecento all'ora - come i cristiani nell'arena dei leoni per sollazzare il pubblico patrizio intervenuto - dovevano per forza ultimare la gara, dovevano per forza dare equa soddisfazione ai centocinquantamila presenti. Così dopo alterne vicende dopo riunioni e indecisioni durate quasi tre ore, i piloti impotenti hanno accettato la loro solitudine di uomini, anche se pericolosa, all'interno dei loro abitacoli dorati, col cuore saturo di tetra malinconia e forse hanno pregato le divinità del bosco dal desistere di portare avanti la loro vendetta.
Franco Cajani

(Il Cittadino, 16/9/1978)
 


SERGIO TUIS, pittore, disegnatore. Vive ed opera a Seregno (MI).
Nel giuoco degli specchi, l'immagine riflessa appare ora mutilata rispetto alla figura che si specchia, ed ora integra, mentre è la seconda che appare senza testa. Con la simmetria speculare che si decompone e si spezza, una costante essenziale viene vanificata, e forse lo specchio perderà da questo momento la sua parvenza d'innocente utensile domestico. Ma ancor più inquietante è il giuoco dell'"uomo invisibile" (questo lontano parente di Frankestein e di Dracula) e quello delle maschere: maschere che costituiscono i volti, che forse sono i veri volti Quelli che abbiamo delineato, sono i contenuti del mondo stregato di Sergio TUIS, quarantacinquenne di Seregno (Milano), di cui li Centro Studi "Muratori" presenta trentatre dipinti a olio, tutti degli ultimi tre o quattro anni.

Si tratta della dialettica pirandelliana di maschera e volto, apparenza e realtà, degli interrogativi antichi e recenti dell'unità e indivisibilità dell’Io, ed anche - a un limite di estrema e vertiginosa ipotesi - dello scambio o dell'equivalenza dell'essere e del nulla. Ed è il limite in cui la commedia dei guochi illusionistici sconfina nella tragedia, e una teatralità lugubre soverchia gli aspetti ludici di una tale pittura, in un modo (per fare un esempio a noi vicino) che ricorda le sculture della modenese Cristina Roncati.

Questo mondo di sortilegi, di entità trasmutanti e fantasmatiche è calato nel nitido realismo dei nostri antichi, rivestito di forme chiare e nette che echeggiano la pittura dei secoli d'oro, quella luminosità aurorale, la sapienza compositiva e il virtuosismo nella cesellatura dei panneggi e nel calibrato dosaggio delle cromie, Ed è questo contrasto tra l'oscuro delirio dei significati latenti e la serena compostezza degli involucri che contraddistingue l'opera di Tuis ma anche quella di una schiera di altri artisti che, senza contatti diretti e senza influenzarsi reciprocamente, ciascuno - s'intende - col suo personale corredo d'idee, attitudini e orientamenti culturali, quasi ispirati dallo Zeitgeist, sembrano procedere su strade convergenti.

L'arte di Tuis rientra in questa tendenza, una delle più interessanti del nostro tempo, che può definirsi "Nuova Metafisica"; di essa abbiamo cospicui rappresentanti anche nella nostra provincia, tra cui - come abbiamo già ricordato - la scultrice Roncati.

(Nuova Mutina, Novembre 1982)

Franco Pone
 


SERGIO TUIS

Ad imbattersi d'un tratto negli ultimi quadri di Sergio TUIS, può capitare di pensare a una condizione più che surreale metafisica: i manichini sostituiti dai vestiti; l'assenza di volti dei manichini sostituita dalla totale assenza di volti delle maschere. Ma gli "oggetti"(se così posso chiamarli) dei quadri di TUIS non sono oggetti nemmeno un poco. Sono nuovi esseri pieni di gesti, di ammiccanti proposte carichi di una loro umanità.

Sennonché, ad ancora meglio analizzare le opere, è dato accorgersi che quegli esseri non sono pregni di una loro umanità, bensì di quella umanità alienata ed alienante a cui noi stessi siamo stati portati: una umanità fatta di omissioni, di assenza, di mistificazioni.

A questo punto, la "lettura" delle opere di Tuis si fa amara constatazione di verità dolente, richiamo ad una scelta di partecipazione più degna, civile disincantato rimprovero, sferzante ironia e, nel contempo, certezza della necessità, per gli uomini, di rifarsi un anima in termini di riacquisizione consapevole della coscienza del "collettivo".

I "morti che camminano" - come mi verrebbe di chiamare queste creature di stoffa e di cartone - sono in realtà prive di misericordia. "Ci resta la misericordia dei nostri vestiti/ a nascondere l'inumano che siamo": sono gli ultimi versi di una poesia che scrissi nel '72. Fu, la mia, disperata affermazione negativa imprecata contro le immani tragedie di popoli rese possibili proprio dall'assenza. Questi quadri di Tuis mi hanno ricordato quei versi. Ma la riproposta del tema è, in Tuis, arricchita e, al limite, resa "positiva" dalla presenza di un discorso che non esclude, in fondo, la speranza.

E i suoi "vestiti carichi di gesti" possono ritornare ad essere abitati da esseri umani, dai cui volti può ancora cadere la maschera.

E tutto Tuis dice con grande mestiere, con meticolosa attenzione al particolare. Un linguaggio pulito, un costruire elementi pittorici dai netti confini calati in climi rarefatti, come cieli lontani.
Gianni Anglisani

(Orsa Minore, Gorizia. Luglio 1977)



Il pittore Sergio Tuis alla Rubens di Gradisca

La galleria "Rubens" di gradisca ospita una personale di Sergio Tuis, un pittore del quale abbiamo già avuto modo di occuparci, un grosso pittore, di quelli che fanno la storia, attraverso la cronaca dei singoli episodi rivalutati in chiave di poesia. I "fantasmi" di Tuis non hanno nulla, assolutamente nulla di metafisico e tuttavia ci colpiscono, ci travolgono in una allucinante e lucidissima sere di "messaggi dell'anima". Il fantasma delle favole antiche ("antiche" perchè noi siamo invecchiati) era un gran lenzuolo con due buchi per gli occhi. E ci terrorizzava nella misura in cui riusciva a incuriosire la nostra fantasia, a eccitare la nostra capacità di rivestire d'immagini i nostri sensi di colpa, il nostro non essere rispettosi di ciò che, ci dicevano, era logico rispettare.

L'operazione mentale di Tuis parte da ben altri contenuti, seppure da premesse non del tutto diverse. I suoi "fantasmi" (blue-jeans e cinture, gonne a fiori e gonne a quadri; semafori in strade senza macchine; maschere appese a fili spinati; enormi campi incolti con un cappotto al vento (spaventapasseri inutile); luogo di rifiuti con nobili maglie all'uncinetto; tenerissimi amanti di cartone, eppure umanissimi) I suoi "fantasmi", ripetiamo, non appartengono a noi per puro gioco di fantasia: sono noi, con la nostra assenza, con la nostra colpa omissiva, con la nostra ossessiva volontà di sopravvivere a noi stessi senza avere neppure vissuto.

Che si accenda il verde o che rimanga il rosso, è certo che quella camicia su quei pantaloni resterà ferma perchè non ha dove andare: non si è costruita una meta; che resti la luce del giorno o che salgano le ombre della sera, quei due amanti (due maschere che si guardano affondate in un cuscino) non sapranno più amarsi e, disperatamente anche se teneramente, lo sanno... Ed il nulla (polvere del tempo) è già sceso su "Ritratto di famiglia", una delle più belle e più impegnative tele (e non solo per le dimensioni) di Sergio Tuis questo artista che con tanta buona grazia, ma soprattutto con grande tensione lirica, sa raccontare a sè stesso e a noi la storia dei "fantasmi" che siamo.

Gianni Anglisani

(Il Piccolo di Trieste 16/11/1977)
 


"l'abito non fa il monaco" di Tuis
Surrealismo e simbologia paiono essere i due elementi cardine su cui si innesta la ricerca pittorica di Sergio Tuis che attualmente espone all'Artecentro Quaglino (piazza San Carlo 177).

Tuis conosce in maniera approfondita il disegno e conseguentemente affidandosi a modi tecnici quasi da amanuense riesce a vivificare le sue immagini: trattasi di vestiti vuoti ove la presenza o meglio la "non presenza" dell'uomo va letta come chiara denuncia di fenomenologie d'ambiguità e d'alterazione. Un racconto che si pone a metà strada fra il reale ed il fantastico e che diviene espressione di una filosofia dell'inconscio ove il pittore traduce per immagini linguistiche un bisogno di comunicazione, un'ansia che il simbolo tende a colmare.

Una mostra inconsueta ma interessante, da cui traiamo la conferma che esiste ancora spazio operativo per il pittore che come Tuis possiede idee, volontà e capacità.

Giorgio Borio

(Corriere di Torino e della Provincia, 15/4/1983)
 


PRESENTAZIONE

Consapevole che nuoce a gran parte della produzione artistica odierna l'insistere su di uno stesso tema formale, con variazioni a volte scarsamente originali, il TUIS intende operare al di là della seduzione pur se carica di suggestione, delle mode imperanti, e svolge un discorso artistico originale e interessante. Dal punto di vista della resa pittorica, il Nostro rifugge, da quelle correnti artistiche (come l'iperrealismo), che sono ancorate a una riproduzione fotostatica della realtà, in quanto all'oggettivazione del reale deve accompagnarsi l'intima, personale partecipazione dell'artista a ciò che raffigura, sì che l'opera d'arte diventi l'espressione della sua personale sensibilità operativa. Il TUIS avverte l'impossibilità di poter raffigurare l'uomo nella totalità della sua essenza per la complessità degli impulsi del suo "io" che denotano un'ambiguità interiore ed esistenziale, di essere che è e che non è, conoscibile e inconoscibile al tempo stesso.

Da qui una pittura che raffigura momenti, situazioni, frammenti della natura umana e del reale, e ricorrente nelle tele del Nostro è la maschera, il cui significato è bivalente. Da un lato essa ben esprime la vera realtà dell'essere umano, non mai ben definita e totalmente comprensibile; dall'altro, essa sta a significare una società falsa, ipocrita e artificiale, che si trincera dierto le convenzioni per mascherare la sua pochezza e la sua scarsa capacità di stabilire rapporti umani cordiali, sinceri e positivamente operativi. Ne deriva una visione sconsolata del mondo attuale, carica di drammatiche certezze, in cui prevale la dolorosa consapevolezza di una realtà alienante. Il merito dell'artista sta nell'aver felicemente colto la vera, intima sostanza dell'animo umano e nell'averla magistralmente evidenziata in composizioni che inducono alla riflessione per la precarietà dell'"io" interiore dell'essere umano, soprattutto per la sua incapacità di individuare i propri limiti per migliorarsi e migliorare.

Giorgio Rota
 


I quadri di Serio Tuis (il pittore di Seregno che espone alla "Tempo Sensibile" fino al 27 maggio) catturano subito l'occhio e la fantasia di chi li guarda: l'evidenza rappresentativa iperrealistica sottolinea infatti per contrasto il carattere irreale dell'immagine costituita da abiti senza corpo e da maschere senza volto che ne sono il soggetto ricorrente.

Tuis è senza dubbio un surrealista: ma il suo è un surrealismo razionalizzato che analizza con fredda cerebralità la pirandelliana perdita dell'identità, l'anonimia nella quale è piombato l'uomo contemporaneo, di fronte a questa tragica alienazione non ci si può rifugiare nemmeno (come hanno fatto i surrealisti degli anni venti) nella dimensione del sogno e dell'inconscio, non resta che prenderne lucidamente atto e affidarla come un reperto alla meditazione dei posteri.

Giovanni Quaglino

(Corriere di Novara, Maggio 1983)
 


In mostra questo mese al Caffè Incontri di Desio



Il DNA della pittura nel fisico di Sergio Tuis

Desio. Cambio della guardia al Caffè di via Fratelli Cervi. Sergio Tuis (nella foto) è l'autore della serie dei quadri ad olio, surreali e molto particolari, che sono esposti alle pareti del salone e vi rimarranno per l'intero mese. L'artista è nato nel 1935 a San Donà di Piave, ma è seregnese di adozione ed ha la pittura nel sangue, perchè già da piccolissimo amava disegnare. Non è possibile guardare le tele di Tuis senza soffermarsi a cercare di capirne il senso. Nei quadri in mostra, anche di grande formato, vi sono abiti senza corpo, singolari personaggi inessenziali, ma con un'incredibile capacità di esprimere magia ed inquietudine, sono abiti d'involucro, l'espressione di una drammatica dissociazione dell'inconscio.

Insigni critici hanno scritto di lui su riviste specializzate, tra queste Andrea Nania, così si esprime:"...i singolari personaggi di Sergio Tuis sono fantasmi in abiti borghesi, caratterizzati da un senso di malinconica ironia e vivono nel mondo terrestre una vita "metafisica". E l'aggettivo metafisica va inteso nell'accezione data da Giorgio De Chirico per etichettare la sua famosa corrente..."

La formazione artistica di Tuis inizia alla Scuola d'Arte del Castello a Milano - sezione pittura, dove si distingue e viene premiato per quattro anni consecutivi. In seguito si perfeziona all'Accademia del nudo a Brera. Pur non tralasciando mai di dipingere, ha dovuto operare nel settore grafico editoriale per un lungo periodo. Da oltre vent'anni, però, si dedica totalmente e con successo alla pittura nella quale è riuscito ad improntare un'espressione artistica innovativa.

Una lunga serie di mostre collettive in Italia e all'estero compongono la carriera dell'artista; molti dei suoi quadri fanno parte di collezioni pubbliche e private e si trovano anche in Francia, Svizzera, Polonia, Argentina ed Arabia Saudita.

Sergio Tuis è un gran pittore senza ombra di dubbio; ma per la complessità dei suoi quadri non si proporrà nella serata dedicata agli artisti in pedana. L'incontro, come sempre aperto a tutti, si svolgerà all'insegna della musica, martedì 11 novembre alle 21,15. Virginia e Omar, cantando e suonando, omaggeranno l'artista con un programma musicale moderno e vario.

Lucia Nava

(l'esagono, 3/11/1997)



Metafisica nelle tele di Tuis


La mostra personale dell'artista surrealista

Sergio Tuis è il nome del pittore, seregnese di adozione ma veneto di nascita, che espone le sue opere nel salone del "Caffè Incontri", una serie di quadri a olio rigorosamente surreali e molto particolari sono in mostra per tutto il mese di novembre nel locale desiano aperto a molte iniziative artistiche.

La pittura di Tuis si svolge all'insegna di una continua ricerca, ricca di umori moralistici ma anche di sottili ironie e di identità improbabili. Gli abiti sono solo un involucro, ma alla base di tutto c'è la consapevolezza drammatica della dissociazione dell'individuo, della sua frantumazione; in altri termini, l’espulsione del soggetto dal corpo inessenziale... gli abiti che non vestono nessuno... e sono così perfettamente indossati... sono personaggi singolari che vivono nel mondo dell'artista una vita... "metafisica".

Molto intensa la vita del pittore, la cui formazione è iniziata alla Scuola Superiore d'Arte del Castello di Milano per proseguire poi alla Libera Accademia del nudo di Brera; all'inizio, fra mille difficoltà, l'artista aveva tentato di fare dell'arte la sua unica professione. Per la famiglia si è dovuto impegnare anche nella grafica editoriale pur non tralasciando mai di dipingere; da un ventennio però si dedica completamente alla pittura.

Una trentina di mostre personali ed un'infinità di collettive in Italia e all'estero compongono il curriculum di Sergio Tuis, che, partito negli anni '50 con una pittura a sfondo sociale, è approdato all'astrattismo negli anni '60. Poi, sentendo una continua esigenza di rinnovamento, è riuscito a trovare un'espressione artistica molto personale, una pittura figurativa tecnicamente ai limiti dell'iperrealismo.

Recensioni di autorevoli critici si trovano su pubblicazioni d'arte specializzate e molti quadri, anche di grande formato danno parte di collezioni pubbliche e private sia in Italia che in Europa, in Polonia, Argentina ed Arabia Saudita.

Aperta a tutti come sempre, la serata culturale di martedì 11 novembre si svolgerà all'insegna della musica; alle 21.15 nel salone del Caffè gli "artisti in pedana"; saranno in due a omaggiare il pittore: Virginia cantando e Omar alla tastiera proporranno un repertorio musicale piacevolmente moderno.

L.N.

(il Cittadino, 8/11/1997)
 


L’identità scomparsa

Non è l'abito, si diceva un tempo, a fare il monaco, ma che resta oggi dell'uomo senza la camicia, la giacca, i pantaloni e il resto? Può essere una chiara passe - partout per interpretare Sergio Tuis (San Michele) quarantenne di San Donà di Piave, da anni residente a Seregno. Pittura pulita, linda, da professionista, il trucco quasi non si avverte tanto gli indumenti sono adattati al corpo che dovrebbero ricoprire. Questo è scomparso tuttavia, manca intera la testa e non ci sono mani e piedi, è sparita insomma la consistenza fisica del personaggio o non si vede, come in una famosa serie di films degli anni Trenta dal titolo appunto "l'uomo invisibile". Anche il ricordo di Rubinstein per poter essere in qualche modo individuato deve mettere in atto un ingegnoso quanto banale stratagemma, l'uso della maschera. Non il volto vero ma la sua riproduzione in cartapesta è ciò che possiamo raggiungere con lo sguardo.

L'intera rassegna di Tuis s'appoggia a questo meccanismo di necessità. C'è chi passeggia, chi si è messo in posa, forse il tizio è in crisi e quell'altro invece è allegro. Le stoffe, i lini, sono candidi, ma le differenze si notano. A ben osservare, con un poco di pazienza dal vestito si risale alle incastellature: moderno, futile, progressista, indifferente, uno che conta e così avanti. Com'è potuto accadere che degli abiti abbiano rovesciato la umile qualifica di oggetti al servizio del signor tale e della signora talaltra sino al punto di essersi impadroniti dell'identità dei loro padroni? Non tocca all'artista dare risposte. Egli constata, la sua intuizione gli permette di controllare più a fondo e più rapidamente l'evolversi degli eventi. Ciò che appare un sospetto per lui è già certezza.

Tuis gioca la sua partita con abilità preziosa e raffinata. Il tema affrontato non è nuovo e tanto più era necessario muoversi con smaliziato mestiere. Il veneto ha buttato giù le sue carte con indubbia accortezza.

Luciano Spiazzi

(Bresciaoggi, 26/2/1983)
 


...che non vestono nessuno eppure sono indossati. C'è una parola tedesca che definirebbe perfettamente le creature invisibili dalle forme dentro gli abiti, è la parola Luftphantomen. [...] Interessante concetto, interessante il colore (non dimenticare che è di un veneto dove il colore lo hanno nel sangue), interessante la pittura atto ed espressione, ossia tecnica e poetica immagine.


Mario Portalupi

(La Notte 26/4/1979)
 


Al Caffè Incontri l'artista propone una rassegna di opere di grande interesse e attrazione



Sergio Tuis espone a Desio
Una figura cammina lungo una scogliera biondeggiante, alle spalle un mare limpido ed altrettanto luminoso, il protagonista però non ha una propria identità, gli abiti sono vuoti, il volto è rappresentato solamente da una maschera, anch’essa cava. Come l'uomo, fra i nuovi valori della società moderna, cerca la propria identità perduta.

E' il soggetto di Passeggiata sull'isola, una delle dodici opere di Sergio Tuis esposte fino al 30 novembre al Caffè Incontri di Desio, in via fratelli Cervi.

Fra gli altri filoni seguiti attualmente dall'artista vi sono anche figure che, pur essendo vuote, ritrovano i propri tratti somatici di fronte allo specchio, e animali, soprattutto scimmie, in abiti umani. Elemento comune la mancanza dell'uomo, così come l'uomo del ventesimo secolo si sente mancare, e l'autore, sentendosi figlio del proprio tempo, non ne vuole ignorare le vicissitudini. Tuis non potrebbe meglio essere paragonato che a Diogene, il quale andava girando per le strade dell'antica Atene, reggendo per la destra una lanterna e cercando l'uomo.

E come il grande filosofo greco, non lo ha ancora trovato. Secondo l'artista veneto, non vi sono infatti, al giorno d'oggi, grandi uomini dello spessore di quelli passati. La sua pittura è oltretutto attenta a descrivere un'ambientazione contemporanea, i vestiti sono tute dalle tinte sgargianti, abiti casual, ma anche eleganti, purchè riflettano un taglio moderno. In alcune opere, non presenti alla mostra di Desio, sono rappresentate anche automobili, semafori con altri simboli della nostra civiltà. L'arte deve infatti saper riproporsi e rinnovarsi di pari passo con l'evoluzione dei costumi.

Le linee e il cromatismo, molto vario, sono inoltre curate nei particolari, danno vita ad un nuovo ed originale figuratismo, ben distante da altri correnti attualmente in voga. Rispetto a quello ottocentesco si aggiunge infatti il movimento, mentre si discosta anche all'iperrealismo americano degli ultimi decenni. Tuis, dopo aver vissuto un periodo creativo dove si richiamava all'arte astratta, si è reso conto di come un movimento, una volta riconosciuto dalla critica come tale, è ormai morto, ma anche di come artisti provenienti da diverse parti del pianeta, pur non conoscendosi, attraverso l'astrattismo stesso, sono giunti a dipingere forme fra loro simili. Gli oggetti appartenenti alla realtà materiale sono invece in numero superiore di quanto la mente umana possa concepirne e in tal modo si riconquista l'originalità della creazione.

Le conquiste di Picasso e del cubismo non possono essere però trascurate, cosicché il soggetto diventa oggetto e subisce le deformazioni che, nei quadri di Tuis, sono date, ad esempio, dalla mancanza dei volti. La sua opera non è dunque da confondersi con un surrealismo alla Salvator Dalì, da cui lo stesso autore si discosta con una certa polemica, come anche dalla metafisica di De Chirico, ma un segnale indipendente da qualsiasi genere finora codificato. La personale di Sergio Tuis potrà essere visitata fino al 30 novembre, durante gli orari di apertura del locale.

Matteo Sommaruga

(la Nuova Brianza, 17/11/1997)
 


ARTE CENTRO QUAGLINO



Le immagini-simbolo nella mimica umana di Sergio Tuis

"Nella mia civiltà, colui che differisce da me, lungi dal danneggiarmi, mi arricchisce" (Saint Exupery). Questo concetto ben si addice alle opere pittoriche di Sergio Tuis, il quale si ferma a realizzare immagini-simbolo, con cui interloquire in merito agli antecedenti mitici che sono il lievito propulsore di ogni azione umana. Ogni uomo tende alla propria sicurezza, alla conservazione di se stesso, nella dimensione consone alle proprie possibilità di riscatto dalle frustrazioni e dalle depressioni sociali aberranti. Ciò comporta, naturalmente, la differenziazione dei caratteri, del modo di vivere, anche se si soggiace all'imperio della legge che la società legale impone. Di fronte a questa realtà, l'uomo deve convivere, cercando di adeguarsi al sistema, e alla logica delle soluzioni che devono riflettere il limite della compatibilità con la libertà altrui.

Sergio Tuis, per esaltare l'uomo nel suo ambiente, dipinge abiti femminili e maschili negli atteggiamenti umani. Si ha la parvenza di fantasmi che giocano in veste di mimi. Questa soluzione conduce l'artista a evidenziare la psicologia dell'animo e renderla visibile con la dinamica degli atteggiamenti che gli abiti propongono, cercando di coinvolgere il fruitore nel discorso che essi accennano.

A questo proposito il drammaturgo Jonescu è maestro; ma Sergio Tuis sa prevaricare i mimi, appunto, di Jonescu, completandoli con l'arricchimento cromatico-espressivo che conferisce alle sue immagini-simbolo la capacità della suggestione derivante anche dall'apparente immobilità, che ha in sè tutta la forza delle movenze che il fruitore intuisce per averle, chissà quante volte, espresse nei momenti abituali della sua giornata.

E' certo che ognuno di noi avrà indossato quegli abiti, ce lo spiega la psicanalisi freudiana da una parte e il concetto delle forze esogene di Jung. L'uomo non può sfuggire all'io ancestrale, all'io sociale, all'io personale; in queste tre dimensioni combatte per tendere ad essere se stesso, nella evoluzione di individuo a persona responsabile e quindi cosciente. Il discorso pittorico di Sergio Tuis sta in questo dilemma che affiora esplicito nelle opere ricche di umana partecipazione emotiva.

Certo, la tecnica è validissima; la forza del disegno esprime le alte qualità professionali dell'artista, il quale sa dosare anche la cromia, rivelandola nei ritmi consoni non solo alla struttura dei valori segnici, ma soprattutto all'atmosfera che il tema suggerisce, per compendiarlo nella completa unicità armonica.

Michelangelo Mazzeo

(Piemonte Porta Palazzo, Aprile 1983)
 


Premiato il pittore Sergio Tuis

Ci capita spesso di leggere nella stampa locale di premi che hai ricevuto in concorsi nazionali di pittura. Anche di recente hai avuto un secondo posto al premio 25 Aprile di Como, il massimo premio a Rho alla XVI edizione del concorso nazionale di pittura del Pomero svoltosi il 10 maggio e, nello stesso giorno, il primo premio al concorso intitolato a Simone da Orsenigo nel paese omonimo. C'è da chiedersi se tu non abbia qualche parente fra i critici d'arte.

Chiediamoci piuttosto se la mia pittura non abbia un suo valore che i critici e i colleghi pittori, componenti solitamente le giurie, bontà loro mi riconoscono.

Scherzavo naturalmente, sono invece tra quelli che conoscono e apprezzano le tue opere. Per chi non avesse mai visto i quadri di Tuis bisognerà dire che egli dipinge con disegno rigoroso e ottime qualità coloristiche figure simboliche, ma mancanti della persona, in queste opere l'uomo non c'è, al massimo a suggerirlo appare una maschera. Ci vuoi spiegare il perchè di questo, ci vuoi parlare della tua pittura?

No, non voglio dare nessuna spiegazione. Se c'è una cosa che rimprovero a molti artisti è quella di parlare troppo, di avere spesso bisogno del supporto di tante parole, dette da sè stessi o da altri, a sostegno del proprio operare. Avendo io scelto di esprimermi col segno e il colore, dopo lunghi anni di travaglio pittorico, invito coloro che hanno già preso visione delle mie opere a fare un piccolo sforzo per comprenderle nel loro senso più pieno, magari rinventandole con la propria fantasia.

Va bene, rispetto il tuo punto di vista. La tua è una pittura molto figurativa, non temi che ai nostri giorni possa sembrare superata?

Forse negli anni '50 o '60 si poteva correre questo rischio, c'era addirittura una specie di ricatto da parte di molti critici: o eri astratto o non eri nessuno. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Si è vista la crisi dell'astratto e dell'informale, che pure avevano dato copiosi frutti, sfociare in movimenti denominati Concettuale, Body Art, Land Art ecc..., dove si rinuncia al fare in favore dell'agire. Christo impacchettava monumenti e scogliere, Gina Pane si stendeva in galleria cospargendosi la faccia di vermi, alla Biennale di Venezia veniva esposto un handicappato, un'artista del quale non ricordo il nome, si metteva un cartello al collo con scritto: "Guardatemi è quanto basta". Si faceva anche un gran parlare di morte dell'arte. Il dibattito artistico attuale vuole invece una riacquisita libertà di espressione a un impossibile operazione di scelte consequenziali si oppone l'artista che esprime liberamente la propria sensibilità. Viene comunque da chiedersi se siano gli artisti o i critici a fare l'arte... Per quanto mi riguarda intendo anche andare per la mia strada senza farmi troppo condizionare, in parole povere posso sbagliare anche da solo.

Concludiamo la nostra chiacchierata col pittore Sergio Tuis, convinti che egli ben sappia quello che fa, come d’altronde confermano i continui riconoscimenti avuti anche da quella parte di critica non condizionata da interessi di parte. Col nostro augurio che l'avvenire sia per lui carico di soddisfazioni e di successi.

Miryam Gerbi

(La Brianza, 5/5/1981)
 


SERGIO TUIS
Pluripremiato alla Scuola del Castello di Milano, uno dei migliori alla scuola del nudo di Brera, ha collezionato premi in mostre e rassegne a carattere nazionale, espone per la seconda volta alla Galleria S. Rocco, dopo aver vinto recentemente il premio acquisto Banca Commerciale Italiana in occasione della targa F.A.S. 78. La F.A.S. e precisamente il suo direttivo formato dai pittori: Colacitti, Moschini, Ferrara, Tagliabue, M. Mariani, gli ha voluto assegnare una personale in premio che si concluderà il 12 giugno 1978.

Tuis, per anni ha alternato l'attività di pittore a quella di eccellente disegnatore di fumetti. Ha dipinto con stile astratto e reale, ma da un paio d'anni dipinge soltanto, e con uno stile fra il fantastico e il simbolico, realizzando vestiti vuoti, senza corpo e senza teste, in pose da fotoricordo, o in posizioni varie e dinamiche: una vera danza tragicomica e satirica di una media borghesia alienata, incapace di trovare un equilibrio interiore, il sapore della verità, i valori più autentici, Il gioco pirandelliano dell'essere e parere diventa serrato, drammatico, ironico, si sfuma in molteplici e inquietanti interrogativi. La sua, è un'amara indagine sull'alienazione dell'uomo contemporaneo incapace di togliersi la maschera per guardarsi dentro con sincerità e amore. L'uomo del Tuis si affoga nel nulla, continuamente invisibile, sempre teso alla disperata ricerca della identità. Il disegno è preciso e analitico; il colore è tonale e raffinato.

P.C.

(La Brianza, Giugno 1978)



L'anno '80 ricco di premi per Sergio Tuis

L'anno '80 ha procurato al pittore Sergio Tuis premi acquisto a Mondonico di Olgiate M. a Bulgorello di Cadorago, al concorso internazionale di arte sacra Silvio Sardi in Pioltello, a Biassono, il primo premio al Il Tetto Brianzolo di Lissolo di Perego e a Romanò Brianza, organizzato da "Il Centro Sportivo". Ma anche negli anni passati aveva vinto diversi premi perchè Sergio Tuis è pittore seriamente impegnato, preparato tecnicamente, disegnatore vigoroso, sferzante nella satira all'ambiguità dell'uomo svuotato di valori e sempre pronto a giocare all'essere e parere con una mascherata ingannevole.

Ma credo che il premio migliore alla sua attività artistica gli sia venuto quest'anno da uno dei critici italiani più attenti e preparati, il critico d'arte del quotidiano "Il Giorno", Flaminio Gualdoni, che, in una lucida sintesi critica, a pagina 200, della rivista D'Ars, anno XXI n. 92, arrivando al cuore della sua pittura, scrive tra l'altro: "A cavallo tra suggestioni delle inquietudini metafisiche e una lucida determinazione di gelido realismo, la pittura di Tuis si svolge all'insegna della ricerca, ricca di umori moralistici, ma anche di sottili ironie, di un'identità improbabile. Alla base, è la consapevolezza drammatica della dissociazione dell'individuo, della sua frantumazione in una raggera di relazioni che ne lacerano l'unità possibile, frantumandolo in ruoli incoerenti, in una non più unificabile ragnatela di "immagini di sè"....

Pasquale Colacitti

(La Brianza, giugno/luglio 1980)



Sergio Tuis alla San Rocco

Una folla di amanti dell'arte, collezionisti, artisti, del noto poeta e critico d'arte Domenico Cara, dei galleristi Giovanni Antonino Billari della Galleria Ciovasso di Milano, di Miryam Polacco Gerbi della S. Marco di Seregno ha presenziato all'inaugurazione della mostra personale di Sergio Tuis, la nona dopo le altre a Gradisca d'Isonzo, Lissone, Milano, Cabella Ligure, Borghetto Borbera, Legnano eccetera.

Importanti sono le sue partecipazioni a premi e collettive di diverse città italiane che lo hanno visto vincitore di ben otto premi e diciotto tra premi acquisto, personali ed altri... Il critico Domenico Cara, parlando con me, esprimeva il suo consenso, evidenziando l'incisiva carica morale e la lucida precisione del disegno armonizzata ad un colore che esalta i volumi e i valori della luce.

Tuis, non ama il vago e il generico decorativo ma scandaglia la tormentata coscienza dell'uomo contemporaneo, ne analizza le contraddizioni e lo svuota di ogni senso umano, così vediamo solo vestiti gonfi di una piacevole apparenza. Il grande successo è stato meritato e siamo certi che altri e più importanti successi ci saranno per lui in futuro. La mostra è stata allestita presso la magnifica nuova sede della Galleria S. Rocco, Famiglia Artistica Seregnese, in via Vignoli 40, a cinquanta metri dalla vecchia sede. Lo avevano preceduto due pittori interessanti come Aldo Gatti, allievo di Meloni e Viviani, forte d'una carica cromatica di grande espressività e il venticinquenne architetto pittore Alessandro Savelli, il quale, ricco di una esperienza figurativa a livello "reale" durante i suoi studi, ha scelto il recupero dell'immagine paesistica con una tecnica polimaterica informale.

Pasquale Colacitti

(La Brianza, dicembre 1980)



Personale di Sergio Tuis alla Galleria Ego-Id di Como
I lettori del nostro periodico sanno già dei numerosi premi vinti da Sergio Tuis in concorsi importanti ma forse non conoscono bene la sua opera. Tuis ha allestito diverse personali in alcune città italiane tra cui a Milano ed ora a Como. Si è formato al Castello di Milano ed ha frequentato un corso di nudo a Brera. Dopo un inizio realistico è passato a una pittura che potrebbe sembrare surreale ma non lo è, perchè non interpreta i sogni freudiani irrazionali dell'uomo; non è metafisica anche se di essa contiene succhi essenziali per certe atmosfere misteriose. Si potrebbe definire, simbolista espressionista, ma dell'espressionismo non ha la deformazione però conserva il carattere dell'introspezione interiore, quindi è simbolista perchè quei vuoti vestiti gonfi d'aria conservano una carica espressiva razionale e ironica, moralista e pessimistica. L'essere e parere dell'uomo viene così espresso con lucidità fredda e chiara. L'uomo per Tuis è sempre mascherato, non è mai quel che sembra e questa concezione troppo parziale e pessimistica potrebbe sembrare artificiosa a quanti credono nel dualismo bene-male, che, si alterna nell'uomo così come il giorno e la notte, la luce all'ombra. Ma al di là della concezione nichilista e anarchica dell'uomo, resta nel pittore Tuis la ricerca della forma espressiva così lucidamente iperealista nell'analisi del dettaglio, inventata nell'uso del colore raffinatamente tonale, così forte nel contrasto delle ombre e delle luci che creano solidi valori plastici. La personale resterà aperta dal 19 al 31 dicembre 1981 presso la Galleria Ego-Id di Como in via Vitani, 24.

Pasquale Colacitti

(La Brianza, ottobre/novembre 1981)



SERGIO TUIS


IN DUE PERSONALI: COMO E MILANO

Sergio Tuis, un giovane pittore che pur avendo collezionato un buon numero di premi non è ancora noto come meriterebbe; formatosi alla Scuola del Castello di Milano, città dove ha anche frequentato i corsi di nudo a Brera, dopo una breve parentesi astratta negli anni sessanta e un periodo realistico, si è rinnovato dedicandosi a una pittura singolare, ricca di echi surreali e metafisici ma senza la caotica irrazionalità del surrealismo ne l'ermetico mistero della metafisica per cui la sua pittura potrebbe definirsi simbolista espressionista. Ma anche tale etichetta potrebbe sembrare riduttiva se non ne esaminassimo ogni elemento atto a rivelarci i contenuti mentali della profonda indagine morale ed ironicamente esaltante che l'artista compie dipingendo vuoti vestiti e maschere che già nelle antiche commedie e tragedie greche avevano il loro significato. L'essere e parere pirandelliano trova un interprete in pittura: Sergio Tuis, il quale però, a differenza dello scrittore che aveva i mezzi per indagare nei misteri dell'animo umano con una ricchezza di variazioni eccezionali, è costretto ad essere estremista e radicale, conferendo all'uomo un indagine sintetica il ruolo della bella apparenza vuota di ogni umano significato positivo. L'uomo, per Tuis non è che graziosa apparenza; i suoi vestiti alla moda sono addirittura vuoti della stessa sostanza carnale. E' questa di Tuis, una concezione nichilista, ma a parte ogni radicale estremismo, il giovane artista possiede una ironica moralità demestificante e l'olio che una sa di vitriolo. Ma al di là dei contenuti, la figurazione di Tuis viene realizzata con un disegno analitico impeccabile armonizzato ad una ricchezza cromatica capace di esaltare i valori della luce rivelando una solida e plastica spazialità. La tessitura cromatica ricca e varia, tonale ed intensa, conferisce ai vestiti un gioco armonico e solido d'ombre e luci capaci di suggerire un sottile mistero a tutto il dipinto. La pittura dell'artista lombardo di adozione ma veneto di nascita offre al fruitore il piacere di un'indagine senza fine, lo spunto per fantasticare sul mistero di quell'uomo che uscito dal vestito si diverte come uno spiritello a giocare sugli affanni dell'umanità. E' ancora l'apparenza la protagonista capace di stimolare la nostra realtà e la nostra fantasia. Le due personali sono allestite dal 19 al 31 Dicembre 1981 alla Galleria Ego-Id. di Como, via Vitani 24, e, alla Citybank di Milano, Foro Bonaparte 16 dal 5 al 19 gennaio 1982.

Pasquale Colacitti

(Artecultura 1/1/1982)



Personale di Tuis alla Galleria S. Rocco

Sergio Tuis ritorna per la terza volta alla Galleria d'arte S. Rocco Fas, con un curriculum arricchito da numerosi premi, tra cui 15 primi dal 1978 ad oggi. Il primo premio ex aequo più recente è quello di Rocca di Neto in Calabria dove il dipinto è stato destinato alla costituenda pinacoteca comunale. Il pittore va approfondendo la sua ben nota tematica delle maschere e dei vestiti gonfi d'aria, privi di corpo, ovvero sull'essere e il parere: un analisi pirandelliana. L'uomo, per Tuis, si mostra con una mascherata per nascondere la sua autentica identità; esso è un involucro vuoto, vestito alla moda, raffinato e pronto per una sfilata...... E' un uomo fantasma senza amore e senza odio su cui l'ironia del pittore inventa giochi e variazioni. A volte la maschera si identifica in un personaggio noto a livello internazionale ma estraneo agli involucri a cui è appesa. Il disegno è analitico ed impeccabile; il colore è cristallino, raffinatissimo; la luce e l'ombra sono esaltate al massimo tanto da rivelare spazi e volumi, con lucidità iperrealistica. La mostra sarà inaugurata il 6 febbraio 1983 alle ore 16.30 e si concluderà il 19 febbraio.

P. Colacitti

(Nuova Brianza, Febbraio1983)



TESTIMONIANZE D'IMMAGINI Personale di Sergio Tuis alla Galleria S. Rocco di Seregno.

Sergio Tuis ha allestito personali nelle più importanti città italiane tra cui: Milano, Roma, Bergamo, Como, Brescia, Modena e prossimamente all'Artecento Quaglino di Torino. Di lui hanno scritto tra gli altri: F. Gualdoni, A. Nania, F. Jannone, L. Spiazzi, F. Veronesi, M. Portalupi, G. Traversi... Egli dal 1978 ad oggi, ha vinto 15 primi premi tra assoluti e ex-aequo in concorsi di pittura.

Alla Galleria S. Rocco si è ripresentato per la quarta volta dal '77, riscuotendo il grande successo di sempre. Tuis realizza una pittura secondo il concetto dell'essere e il parere pirandelliano. Interpreta le vuote e gonfie apparenze esteriori con vestiti, anche alla moda, così plasticamente forti per un esatto gioco di ombre e luci ed un disegno analitico impeccabile, per cui nel vuoto involucro si avverte la presenza dell'uomo e ogni suo gesto, il tutto permeato di un'acuta e mordace ironia. Alla chiusura della mostra di Seregno il 19 febbraio, Tuis inaugura un'altra personale alla Galleria S. Michele di Brescia che si concluderà il 3 marzo.

(Artecultura, Marzo 1983)

P. Colacitti



Incontro al Caffè con Sergio Tuis.

L'artista concittadino Sergio Tuis è presente sino a fine mese, con una personale, alla sala mostre del "caffè incontri" di Desio, via fratelli Cervi, 25.

Sergio Tuis si presenta nella vicina Desio con un ricco curriculum di personali tenute nelle maggiori città italiane e di altrettante collettive, oltre ad avere nel suo palmarès una vasta gamma di primi premi.

Al "caffè incontri" presenta una selezionata serie di dipinti su tela sotto forma di allegorie, un pirandelliano gioco delle parti, una filosofica dialettica tra l'essere e l'apparire, risolvendo le figure con ironia sottile.

Figure che non hanno testa, piedi o mani, eppure compiono gesti dinamici o posano con tutto il peso corporeo, come antiche colonne. Un dipinto esemplare per l'immobilità è dato dalla composizione di tre figure femminili vestite di bianco, originale versione delle Tre Grazie, sotto un ombrello che conferisce al tutto una nitida e volumetrica spazialità, proiettando un dinamico gioco di luci e ombre mediterranee. Sono figure che esaltano le apparenze, eleganti, quasi come una sfilata di moda. La luce soffusa e solare evidenzia spazi e volumi con un rigore geometrico pierfrancescano e casoratiano. Ogni forma è analizzata con rigore impeccabile ed essenziale, consistente come se vi contenesse un corpo. Il tessuto cromatico è misurato e perfetto nella stesura. Spesso la figura si presenta con una maschera, precisa allegoria dello sdoppiamento di personalità, un emblema dell'antico teatro greco perpetuato nei secoli fino alle moderne maschere del teatro popolare. Il fruitore, osservando una figura di Tuis può con un gioco di fantasia, immaginare le teste, le mani, i piedi che vuole con la più ricca gamma di espressioni.

Pasquale Colacitti

(Il Cittadino, 8/11/1997)



SERGIO TUIS DAL SIMBOLISMO ALLA REALTA' URBANA

Sergio Tuis si diplomò a pieni voti all'Istituto d'arte del Castello Sforzesco di Milano distinguendosi come uno dei migliori. Frequentò un corso di nudo a Brera ma non il quadriennio dell'Accademia per due motivi: il primo perchè aveva bisogno di lavorare, il secondo perchè, secondo lui, Brera era in crisi e veniva contestata dagli studenti!

E' noto che le Accademie, generalmente non formano l'artista ma insegnano le tecniche e le materie culturali. Tuis sperimentò l'espressionismo e anche l'astrattismo quando sembrava l'unica arte possibile.

Per vivere disegnava i fumetti senza trascurare la pittura. Un giorno mi accorsi che era giunto il momento per rendere pubblica la sua pittura e gli organizzai la prima mostra personale nella sala della Galleria San Rocco "Famiglia Artistica Seregnese", ed ebbe un successo insperato. La sua pittura era più simbolica che surreale. Dipingeva vestiti svuotati dall'uomo con maschere, dissacranti e amaramente ironiche, una visione nichilista; sembrava che preferisse più gli animali come uccelli e scimmie; il tutto risolto con una volumetria cristallina ed un cromatismo solare. Gli organizzai una seconda personale alla Galleria Rubens di Gradisca d'Isonzo ed altre ancora; gli feci conoscere Grazia Chiesa che gli organizzò diverse personali nelle banche delle più importanti città italiane e gli dedicai diversi articoli ed alcune presentazioni. Lo sollecitai a partecipare ai concorsi e collezionò premi; ottenne giudizi critici lusinghieri ed un articolo positivo di Flaminio Gualdoni. Con questa mostra giunge, alfine, alla Galleria Civica "Ezio Mariani" di Seregno, sua città di adozione.

Oggi la pittura di Sergio Tuis esalta una realtà narrativa urbana analitica, quasi maniacale, mediata dalla fotografia. La prima pittura realistica risale alla seconda metà del IV sec. a. C. con Apelle, ritrattista ufficiale di Filippo II e di Alessandro Magno e nel V secolo con Zeusi che arricchì la forma reale con un'analisi psicologica. La figurazione realistica analizzata con ogni dettaglio risorge nel XV secolo d.C. con alcuni maestri come: Van Eyck, Vermeer, Holbein il giovane, Durer ma Van Eyck, Holbein il giovane e Durer nonsi accontentano della realtà analitica perchè l'arricchirono con il mistero dei simboli. I realisti analitici sono legioni nel corso della Storia dell'arte e, sarebbe blasfemo apparentare Tuis a quei geni o agli iperrealisti americani che una certa critica esaltò come innovatori mentre la loro concezione dello spazio, dei volumi, della minuzia dei dettagli si riferisce ai geni fiamminghi e tedeschi, ma con loro l'uomo diventò un manichino disumano; la realtà dei paesaggi si cristallizzò, il tutto privato di poesia, di emozione, di mistero, partorito dall'abuso della fotografia. Tuis con la pittura d'oggi esalta l'uomo e la realtà che lo circonda nella molteplicità dell'esistenza: nella città, nel paese e nelle periferie urbane con una partecipazione umana profondissima. Nel grande dipinto su tela: "Milano, luci e ombre", due diseredati accovacciati presso il Pirellone, sotto un cielo di un profondo azzurro e le luci artificiali della città, sono evidenziati da una luce innaturale, che illumina il loro volto. El Greco fu il primo pittore che illuminò il volto con la luce artificiale. Era il volto d'un ragazzo; ma anche Gerrit Van Honthorst detto dagli Italiani, Gerardo delle notti, perchè usò esclusivamente la luce delle candele, e, non fu il solo. Egli ama la luce solare, quasi mediterranea; un disegno magistrale, una volumetria scandita impeccabilmente; una prospettiva rinascimentale. Ha dipinto il ritratto a mezza figura del figlio Dario e di Schumacher, quello a figura intera della moglie, vista in lontananza, risolto con pennellate sintetiche. In un dipinto fonde un paesaggio urbano argentino con un'altro inventato. In una periferia briantea appare una bella di notte. In un verde prato periferico una donna quasi bocconi sta per sdraiarsi presso un lago. Una donna si sveste presso una macchina. L'ironia fa capolino nel robusto e giovane brianzolo che avanza baldanzoso in una strada a luci rosse di Amsterdam. Desidero concludere con le parole di Sergio Tuis: "Per ora non chiedo che di portare il mio granellino di sabbia alla costruzione di una nuova arte, che possa superare l'attuale paralizzante crisi. Sono convinto che l'arte possa rinnovarsi all'infinito, purchè l'artista non sia rinunciatario e lo voglia veramente. Si dovrà ricominciare dipingendo un fiore con la sua freschezza vellutata e la sua fragranza, più bello di uno vero. Un "Grande Stile", ne ho la certezza verrà di conseguenza".

Pasqualino Colacitti

(Seregno 24-09-04)



SERGIO TUIS, pittore, disegnatore. Vive ed opera a Seregno (MI).
I soggetti di Sergio Tuis, veneto di origine, ma abitante a Seregno, sono di tal fattura che l'interpretarli non è facile.

Ora, sicuramente, una interpretazione c'è, ma può altresì sorgere il dubbio che l'autore si sia divertito a produrre un qualcosa che presti il destro alle più disparate spiegazioni.

E non sarebbe certo un atteggiamento negativo e neppure nichilista.

Già fin dalla più profonda antichità la ricerca filosofica si chiedeva "che cosa" fosse l'uomo; e allorché si voleva rappresentarlo, emblematicamente, magari su un carro di Tespi, si ricorreva alla maschera e al vestire. Che sono gli stessi elementi cui ricorre Sergio Tuis.

Non parlando degli sforzi, sempre vani, delle varie epoche, oggi più si cerca di individuarlo (l'uomo), capirlo, misurarlo, e più sfugge, ad ogni indagine, e sembra nascondersi; di lui rimanendo solo le cose esteriori. Il vestito, appunto; l'apparenza. E la maschera. Da qui potrebbe scaturire la prima osservazione. L'"apparire", in Tuis, è pieno, vitale, integro. E' apparire di uomo, o di donna, è un correre, un riposare, un posare, un appoggiarsi, un aspettare. Guardando e analizzando escon fuori anche dei sentimenti. Sentimento di attesa, di speranza, di afflizione, di amore, di ripiegamento, di solitudine, di noia.

Eppure è sempre il vestire che ci avverte: una pelliccia appoggiata a un palo (sapore di donna, delusa); un "completo" di giacca sportiva, maglia e pantaloni che prende fiato dopo la lunga camminata in montagna...

E' insomma, quello che ci appare ogni giorno, ogni istante. E che, sul colletto, sia posata una testa, oppure no, in fondo poco importa.

L'importante è che siano salvate le apparenze.

Queste apparenze, poi, dipinte minutamente, con cura (e con capacità disegnativa) sembrano voler abdicare a un interrogativo sulla specificità della natura umana.

Sembrano, ma forse è proprio qui, in questo atteggiamento di rinuncia, dove pure affiora ironia, che viene a galla una sofferenza, una volontà di gridare la propria sfiducia; di andare, come Diogene faceva, intorno a cercare l'uomo. Quello stesso, concetto, che si prepone alle grandi correnti filosofiche (l'Umanesimo), o che degenera in certi sistemi ottocenteschi (Superuomo) fino a degradare nei genocidi nazisti.

Dal concetto di homo philosophicus, a quello di homo faber (con tante contorte e contraddittorie implicazioni), da quello di homo poeticus (che esplode nell'arte) a quello di "insetto sociale".

Tanta dovizia di spiegazioni, da collegarsi a tante lacerazioni (di individuo e di storia), fanno si che l'uomo sfugga ancora, e sempre, ad essere definito.

Come sfugge a se stesso e si rifugia in quello che diciamo essere banale, provvisorio, esteriore. Assenza dell'uomo, dunque. Presenza, invece, del suo involucro.

E' questo che Tuis ha voluto esprimere?

Noi crediamo che, direttamente, o indirettamente, sì.

La critica, intorno alla figura del Nostro è densa di nomi. Mario Portalupi dopo aver elogiato il colore "non dimentichiamo che è di un veneto dove il colore lo hanno nel sangue", punta sull'espressione "ossia tecnica e poetica immagine".

Flaminio Gualdoni dice che "La pittura di Tuis si svolge all'insegna della ricerca, ricca di umori moralistici...".

Scorrendo la ricca antologia di scritti che riguardano questo originale artista, si ha la sensazione che non tutti concordino sui particolari, ma che invece tutti arrivino, per una strada o per un'altra a scorgere un che di inquietante, di profondamente vero, di grandemente significativo della crisi di oggi (o di sempre) anche se i mezzi espressivi sono garbati, con colori assai bene dosati e profondamente sentiti. Il tutto induce una lettura pacata, ma non priva di tensione..

Da notare che gli animali, per lo più cani, sono rappresentati senza ambiguità alcuna, nelle pienezza del loro essere. Su di essi l'autore forse non ha dubbi? Si considera sinceri e "affidabili" fino in fondo?

La mostra è aperta al pubblico presso la galleria "Aquarius", in via Mercatello 8, fino al primo di aprile.

Pierangelo Negri

(La Provincia, Cremona 18/3/1983)
 


A Seregno esplode Tuis
Ospite dell'amico Colacitti, alla galleria San Rocco di San Rocco di Seregno, il pittore Sergio Tuis è esploso con una serie di opere nel contesto delle quali e in una personale esemplare, è riuscito a delineare con precisione e amabilità un ritratto psicologico-moralistico della umana natura, in una serie di brevi, succosi capitoli, interessanti volta a volta e il critico e l'intenditore d'arte e lo psicologo. Potrebbe a ragione Tuis ripetere le parole di un gentile scrittore lombardo, Gustavo Botta, quando scrisse di sè "forse ho dentro l'anima qualche filo d'oro".

Questi "fili d'oro", lirici, elegiaci, misteriosi e scoperti, duttili ironici, prezioso contributo dell'arte alla filosofia e alla scienza in generale, Tuis li possiede, in forza di una espressione coloristica elegantissima, di una introspezione meditata sui destini dell'uomo e sul mistero della vita universale, di una poesia non scevra di conoscenze sottili. Ed ecco allora, senza secondi fini, senza derivazioni letterarie la vis artistica raffinata di Tuis: il ricco apparato di immagini, l'estrema sintesi del processo pittorico, lo stile sempre attento, degno di battute epigrammatiche, fanno si che la mostra denunci, sia nella tematica, sia nella fattura, l'artista pensoso, umanissimo, dinamico e autentico.

I suoi personaggi, anche se mutabili ad altre complesse motivazioni, non sono affatto ciò che Carrà, non senza sottile acume definiva "ginnastica da camera": Tuis opera in questo senso, denunciando ad un tempo ciò che è e ciò che vorrebbe "fosse", il Design dell'Uomo, il futuro dell'uomo, maliziosamente commuovendosi e ironicamente scandagliando. Quegli uomini e donne non sono che moduli viventi, la sua aggettivazione è così aderente e precisa alla realtà anche in fieri) che lo "zibaldone" umanitario (mi si passi l'espressione) è l'esemplare ritratto della eterna situazione, demoniaca nelle finalità, dell'Essere stesso.

E giustamente commentava un pittore, presente alla manifestazione, quei larghi campi di colore in cui si muovono le immagini concrete, ansiose ed inquiete talvolta, altro non sono che le liriche proiezioni del "campus" cioè le cornici ideali di una altrettanto ideale umanità, ora rapita, ora dolente della sua libertà. Non si tratta di fantasmi quindi, né di incubi metafisici, né di astrazioni irreali ma di vere e proprie divinazioni poetiche che Tuis ha saputo con mano maestra concretare sulla tela, nella ricerca positiva di nuove formule, di nuovi ritmi.

Renato Tomasina

(L'Eco di Monza14/6/1978)
 


SERGIO TUIS



vive e lavora a Seregno (MI).

Un pirandelliano vestito vuoto riflette nello specchio la sua struttura moderna ritrovando la figura umana di una giovane prima perduta. Forse questo è l'attuale punto di arrivo della tematica del seregnese Sergio Tuis che da anni insegue il fio conduttore che si potrebbe tradurre nel vecchio detto "l'abito non fa il monaco". Infatti Tuis racconta storie di genti che all'esteriorità appaiono in un modo ma che dentro sono piene di inganni, interrogativi, subdole conclusioni etiche e sociali. La raffinata tecnica comporta uno studio profondo del particolare di un vestito, di un momento: dallo sportivo al classico, dalla pelliccia al saio, dal contenuto tanto importante e versatile potrebbe definirsi iperrealismo. Un filo spinato, un pallone, una maschera sono i simboli che denunciano lo stato del mondo, la corruzione e l'ambiguità. Sono invenzioni di una mobilità compositiva che dal realismo impostano un'idea di "presenza" nascosta, inquietante per il non visto ma indovinato da atteggiamenti morali e materiali. Non esiste, in fondo, bisogno di un'immagine (come era nelle premesse del pittore) oppure questa diviene fantasia e sogno nel riflesso, è carica espressiva ricca di contenuti simbolici, emotivi e presuppone uno stato d'animo preciso, un conflitto di sentimenti, l'esigenza di rivelare scontri nelle zone dell'inconscio con risultati di rinnovata metafisica allusiva. Le opere di Sergio Tuis, prima affascinano poi fanno pensare. Un modo filosofico di cercare un colloquio che non sia vuoto come l'abito che l'artista dipinge ma aiuti colui che l'indossa a trovare la sua vera entità fisica e mentale.

Vittorio Bottino

ARTE CENTRO QUAGLINO - Torino